Come Sebastiano Ricci diede una svolta decisiva alla grande pittura decorativa e di storia, innovandola in chiave settecentesca e rococò, così il nipote Marco, anch'egli bellunese, trasformò la pittura di paesaggio, conducendola dai risalti chiaroscurali della stagione barocca a una dimensione libera, tersa e potremmo dire ‘meteorologica’ della natura.
Sebastiano e Marco Ricci
Marco Ricci elaborò anche una tecnica nuova, a tempera su pelle di capretto, per ottenere una stesura brillante, non soggetta a ingiallimenti, costruendo la sua pittura per macchie di colore e tocchi di luce. I capricci esposti, a confronto con un dipinto di Antonio Marini, artista con cui venne spesso confuso, rendono evidente le differenze e l’innovazione.
A Belluno, dove Marco Ricci era solito tornare e soggiornare con frequenza, come a ristabilire un legame diretto e privilegiato con le montagne e la natura rappresentati nei suoi quadri, si affermò una scuola di paesaggio che troverà seguito anche nel secolo successivo, con artisti del calibro di Antonio Diziani, figlio di Gaspare – che rielabora spunti colti da Marco in un’interpretazione più aneddotica e con temi di genere – e di Giuseppe Zais, che si aggiorna a Venezia mantenendo spunti naturalistici.
Sebastiano Ricci, nato a Belluno nel 1659, fu protagonista della trasformazione della pittura europea dalla stagione barocca a quella rococò. Allievo del pittore milanese, trapiantato a Venezia, Federico Cervelli – di cui è esposta Galatea – già indirizzato alla riscoperta di un’arte luminosa e neoveronesiana, Sebastiano nel suo lungo peregrinare fra nord e centro Italia, ma anche in Inghilterra con il nipote Marco (decorò ad esempio la Burlington House e il Chelsea Royal Hospital), a Parigi e a Vienna, mise a frutto, rielaborandola, una cultura visiva di una vastità fuori dal comune. Ancora legata alla pittura seicentesca e ai suoi drammatici risalti chiaroscurali è la misteriosa tela, una tempera insolitamente senza preparazione, rappresentante La pazienza di Giobbe, forse legata a un qualche ciclo decorativo non rintracciato, come la presenza dell’incorniciatura in finto stucco farebbe pensare. Già frutto del nuovo stile, più libero, atmosferico e luminoso, grazie alla riscoperta di Paolo Veronese, è il Riposo durante la fuga in Egitto, forse da collocare durante il periodo inglese. La Testa della Samaritana proviene invece dal perduto ciclo di Villa Belvedere a Belluno (1718), commissionata dal vescovo Bembo, purtroppo distrutto. La decorazione, come documenta un disegno di Osvaldo Monti, era scandita da episodi biblici ma anche dalla presenza di scene di vita contemporanea come l’autoritratto di Sebastiano in compagnia del nipote Marco. Il satiro e la famiglia del contadino è invece una testimonianza della produzione matura, e della maniera ‘di tocco’: “questo piccolo è l’originale”, scrisse inviando a un suo committente a Bergamo il modello preparatorio di una grande pala, dichiarando la supremazia dell’atto creativo.